(Panorama Sanità) – Secondo la senatrice le Unità speciali di continuità assistenziali “possono rappresentare quell’anello di collegamento indispensabile tra ospedale e territorio che assicura alle persone la necessaria continuità assistenziale”
“Le Unità speciali di continuità assistenziali (Usca) sono state una delle risorse più efficaci ed innovative in una delicata fase di transizione per il nostro SSN, sottoposto ad una sorta di stress-test dalla pandemia non ancora risolta. Eppure qualcuno vorrebbe considerare ormai concluso il loro ruolo e sciogliere i servizi in cui erano incardinati. Le USCA introdotte per fronteggiare l’emergenza da Covid si sono rivelate utilissime per garantire una indispensabile assistenza alle persone costrette al proprio domicilio, e hanno colmato il vuoto che si stava creando nel sistema sanitario. Il nostro SSN appare sempre più sbilanciato tra la dimensione ospedalo-centrica, che fa fronte alle urgenze e alle criticità che di volta in volta si creano, e la dimensione territoriale, in cui i medici di base sono spesso lasciati del tutto soli a fronteggiare la cronicità, l’anzianità e non di rado anche la disabilità.” Lo afferma la senatrice Paola Binetti, UDC, che continua: “E’ convinzione sempre più diffusa che il nostro SSN debba rivedere e riorientare il suo modo di operare, spostando l’asse decisionale ed assistenziale dall’ospedale al territorio. Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana e Unità speciali di continuità assistenziali (Usca) possono rappresentare quell’anello di collegamento indispensabile tra ospedale e territorio che assicura alle persone la necessaria continuità assistenziale. Si tratta di Unità funzionali in cui le competenze sanitarie, a prevalente carattere assistenziale, integrano nella relazione di cura offerta ai pazienti anche una particolare attenzione ai bisogni di tipo sociale, spesso prevalenti nei pazienti cronici, anziani o disabili. Il 31 dicembre il servizio offerto dalle USCA dovrebbe concludersi, senza che si sappia esattamente in cosa consisterà la riforma sanitaria a prevalente trazione territoriale di cui si è tanto parlato. Nel PNRR si parla Case di comunità, come di una soluzione organizzativa con funzione di hub di prossimità per le cure primarie e per i supporti sociali e assistenziali. Ogni Casa di comunità dovrebbe costare a livello strutturale e tecnologico circa 1,6 mln di euro ed ha certamente bisogno di professionisti capaci di garantire quella continuità che garantisce un dialogo efficace sia a livello interpersonale che funzionale, cosa che le Unità USCA hanno cercato di fare finora, per cui meritano di essere valorizzate e non eliminate.”