Il caso Stamina e la prova dei fatti
Riflessioni sull’etica di cura e di ascolto
Ci deve essere davvero qualcosa di inafferrabile nella questione Stamina, visto che si continua a parlarne ogni giorno: sui giornali, nelle trasmissioni tv, nei vari dibattiti.
Eppure, nonostante la scienza abbia mantenuto fermo il suo punto di vista sulla completa inaffidabilità del metodo, persistono ancora dubbi e incertezze in una parte della opinione pubblica, soprattutto in quanti non riescono ad accettare i limiti della scienza e si rifugiano in una sorta di fanta-scienza.
Il fatto è che non ci si vuole rassegnare davanti ai grandi misteri della vita: la felicità e l’infelicità, la malattia e la sofferenza, il dolore e la morte e ci si aspetta che la scienza abbia risposte per ogni problema.
Stamina ha rappresentato per molte persone l’estremo orizzonte della speranza: un miracolo tutto laico che la scienza avrebbe potuto produrre contro ogni evidenza.
Smascherare le sue false promesse, ricondurre il dibattito alla trasparenza e alla chiarezza, contrastare la fumosità di certe argomentazioni è sembrato ad alcuni un’inutile crudeltà nei confronti di malati e delle loro speranze.
Eppure sia la scienza che la speranza hanno bisogno di verità.
Ma sia la speranza che la conoscenza scientifica, pur appartenendo a mondi apparentemente distanti tra loro – come sono la sfera del desiderio e quella della razionalità scientifica – hanno una loro zona di intersezione in cui traggono forza l’una dall’altra.
Speranza e verità si alimentano reciprocamente, sia sul piano umano che su quello più strettamente scientifico, ma per questo è necessario mantenere fermi alcuni punti di riferimento che sono alla base di un’etica della ricerca che non si sottrae alla tensione propria di un’etica della cura e dell’ascolto.