A favore di un grande Ministero delle politiche sociali e sanitarie
Panorama della Sanità: intervista a Paola Binetti (Noi con l’Italia Udc):
A favore di un grande Ministero delle politiche sociali e sanitarie
Il referendum del dicembre 2016 ha mantenuto la competenza in materia sanitaria come concorrente fra Stato e Regioni. Quali interventi ritiene necessari attuare su questo tema, fonte di crescenti disuguaglianze tra le diverse aree del Paese?
Penso che l’attuale situazione socioeconomica non garantisca a tutti i cittadini pari accesso alle cure, in flagrante contraddizione con gli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione. Occorre ripartire dalla tutela del Diritto alla Salute come piattaforma per un nuovo modello assistenziale, o meglio socio-assistenziale. Norme più chiare e tempestive, a seconda dei problemi emergenti, sia a livello parlamentare che governativo, e un recepimento più rapido da parte della Conferenza Stato-Regioni delle leggi, per dar loro attuazione in modo uguale su tutto il territorio nazionale. Gli italiani, per sentirsi parte di un unico sistema nazionale, debbono toccare con mano la parità dei diritti, proprio in virtù di un’etica pubblica più coerente e rigorosa, sganciandosi da un approccio esclusivamente economico che fa della salute un nuovo mercato.
L’innovazione tecnologica e il progresso scientifico hanno aperto un inedito fronte sul tema dell’accesso alle cure e del rapporto tra benefici attesi e costo delle terapie. Qual è la vostra posizione in merito e quali interventi avete previsto per garantire cure efficaci a tutti e la sostenibilità economico-finanziaria del sistema? Quali strumenti attiverete e in che tempi per sviluppare un compiuto monitoraggio dei bisogni di salute dei cittadini e dell’andamento della spesa e dei ritorni in termini di investimento? Come sarà sviluppato il rapporto pubblico-privato in campo sanitario e più estesamente nel settore del welfare secondo il vostro programma?
Le terapie innovative, gli sviluppi tecnologici sul piano diagnostico e sul piano terapeutico esigono oggi un profondo ripensamento dei modelli decisionali su cui si fondano le scelte, sia a livello governativo che a livello locale. L’aumento della popolazione anziana sta creando nuovi bisogni in campo assistenziale, anche perché spesso si accompagna alla solitudine dell’anziano. C’è la necessità di supportarlo con specifici interventi di tipo socio- assistenziale, soprattutto quando c’è una riduzione delle capacità cognitive. Questo esige un controllo della spesa che permetta di evitare inutili duplicati di accertamenti, ricoveri impropri, dispersione di risorse umane altamente qualificate per ruoli e compiti a più basso indice di complessità. Il rapporto pubblico-privato deve diventare un modo abituale di affrontare i problemi, anche per non escludere la famiglia con le risorse di cui dispone dal fare il supporto necessario ed auspicabile all’assistenza familiare. Ma il privato sociale deve essere e deve rimanere tale: una opportunità in più offerta a chi la richiede; non può sostituirsi alla specifica responsabilità dello stato, che deve garantire a tutti una offerta gratuita di servizi di alta qualità. Offrire a costo di Ticket un intervento di tipo diagnostico-assistenziale può aiutare a smaltire molte code, velocizzando i processi di diagnosi e cura.
Alcuni temi caldi hanno accompagnato la passata legislatura per quanto riguarda la salute dei cittadini e l’adesione agli obiettivi dell’Unione europea per allungare di due anni la vita in salute delle persone entro il 2020 e per rispondere agli obiettivi di sostenibilità indicati dall’OMS per il 2030. Nello scenario politico-istituzionale e nel solco della progressiva, necessaria integrazione tra sanità e sociale, qual è la posizione della sua forza politica rispetto al futuro del Ministero della salute? Ha ancora senso una ripartizione delle deleghe così circoscritta?
Sono i dati epidemiologici e gli studi demografici a dirci che un Ministero della Salute che non abbia anche una delega forte sulle politiche sociali corre il rischio di veder fortemente ridotta la sua efficacia. La cronicità, la disabilità e l’anzianità non si possono trattare con l’adeguata qualità senza un progetto che includa interventi di tipo sociale strutturali e sistematici. Il Ministero della salute deve avere al suo interno risorse e competenze necessarie per garantire questi servizi a tutti coloro che ne hanno bisogno. Non basta vivere più a lungo se non si vive riappropriandosi progressivamente della propria autonomia, imparando a gestire le proprie fisiologiche disabilità e soprattutto comprovando
nella quotidianità della propria esperienza che il diritto alla salute è un fatto e non uno slogan, come troppo spesso accade…Nel nostro programma c’è un grande progetto: l’istituzione di un grande Ministero delle politiche sociali e sanitarie; un ministero che sappia dettare la linea anche al MEF, evitando che sia l’economia a dirci di cosa abbiamo bisogno e di come dobbiamo affrontare i problemi di nostra competenza.
In che modo e con quali azioni concrete e misurabili intendete intervenire sulle liste di attesa e sull’accesso alle cure?
Ci sono interventi di natura strutturale e interventi di natura organizzativa, legati agli attuali modelli ormai superati nel loro impianto complessivo. Tra gli interventi previsti occupano un ruolo fondamentale il ricorso sempre più frequente agli strumenti telematici per la prenotazione e programmazione delle visite, anche per orientare il personale nell’area dei servizi in cui è più forte la richiesta dei pazienti. A volte sorprende vedere ambulatori vuoti o letti non occupati a fronte di richieste pressanti di pazienti in lista di attesa…Nello stesso tempo ci troviamo con l’assoluta contraddizione del numero di posti nelle Scuole di specializzazione che penalizza ambiti ad elevatissimo indice di richiesta come la geriatria a vantaggi di settore in cui il flusso di richieste di giovani medici e di pazienti è decisamente minore. Occorre avere a disposizione più figure professionali per meglio orientare gli stessi pazienti: figure come il dietista, il fisioterapista, il logopedista… e spesso anche infermieri ad elevato indice di specializzazione possono far fronte a moltissime richieste dei malati, con loro piena soddisfazione.
Quali interventi sono previsti nel programma della sua forza politica per spostare il baricentro della sanità da un criterio ospedalocentrico verso un equilibrato rapporto tra cure e strutture per acuti e l’assistenza primaria? In particolare, l’invecchiamento della popolazione e l’esplosione delle cronicità impongono un ripensamento delle priorità assistenziali, previdenziali e sociosanitarie. Con quali azioni e in che tempi ritenete di intervenire su questo fronte? In particolare, sarà mantenuto e incrementato il Fondo per la non autosufficienza?
Il Fondo per la non autosufficienza va certamente aumentato, tenendo conto del trend verso l’invecchiamento della popolazione, ma spesso va tradotto in servizi sufficientemente differenziati da essere centrati sui bisogni reali dei pazienti e sulle necessità delle famiglie. Ma il passaggio ad una medicina territoriale più capace di rispondere ai bisogni dei pazienti, dando loro la necessaria sicurezza di essere assistiti nel miglior modo possibile comprende anche tre passaggi importantissimi a monte:
a) La scuola di specializzazione in medicina generale, o di famiglia, o di base… comunque la si voglia chiamare deve diventare una specializzazione con i suoi contenuti specifici ma con le stesse modalità di gestione di qualsiasi altra specializzazione, con un approccio multidimensionale e una adeguata supervisione della Facoltà, come avviene in tutte le altre scuole. Ovviamente con una docenza di cui sono magna pars i medici di medicina generale, selezionati tra i più competenti sul piano clinico-assistenziale.
b) Occorre promuovere il modello degli studi associati tra i medici di medicina generale, che funzionino 24 ore su 24, con turni opportuni e con la condivisione dei casi clinici per discuterli, approfondirli e poter intervenire nel miglior modo possibile. Alla qualità della relazione umana tipica del medico di famiglia, si deve aggiungere per il paziente la sicurezza che troverà sempre e comunque qualcuno che lo ascolta quando ha bisogno e se ne prenderà carico.
c) La medicina territoriale, o meglio l’assistenza territoriale, non è solo un fatto di medici. Esige equipe integrate, con infermieri di famiglia, fisioterapisti, logopedisti, ecc… Solo un lavoro in team, spostato al domicilio del paziente quando ne ha bisogno, è in grado di dare al paziente la convinzione che non è necessario andare al Pronto soccorso o farsi ricoverare per essere adeguatamente assistito e solo così si sposterà l’asse della diagnosi e cura dei pazienti cronici o anziani sul territorio, nelle loro case, con i loro familiari, senza inutili distacchi e spaesamenti ma anche senza costi aggiuntivi del tutto inutili.
(Intervista pubblicata sul numero di febbraio 2018 di Panorama della Sanità)